Padre Pino Puglisi: testimonianza di suor Nancy
Don Pino Puglisi, all’anagrafe Giuseppe Puglisi è stato un presbitero e un educatore italiano, ucciso nel 1993 a Palermo dalla mafia, il giorno del suo 56º compleanno a motivo del suo costante impegno evangelico e sociale.
Suor Nancy, della comunità di Roma, l’ha conosciuto. Condivide con noi la sua testimonianza.
“Il Verbo di Dio si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14)
È il Dio che ho conosciuto attraverso padre Puglisi, un Dio che si è fatto uomo e che cammina con noi, come Padre ricco d’Amore tenero e misericordioso.
Avevo circa nove anni quando lo vidi per la prima volta in colonia a Casa della Gioia, vicino a Palermo, poi lo rividi dopo qualche anno e iniziai a conoscerlo quando insieme ai miei fratelli e sorelle facevamo volontariato al Centro Sociale di Decollati, fra i poveri più poveri della nostra città. Da allora è stata sempre una presenza viva e discreta nella mia famiglia, ora accompagnando l’uno, ora l’altro, verso un cammino che ci porta tutti alla stessa meta: Dio Padre.
Il suo stile è stato sempre quello di un’accoglienza gratuita: ricordo che durante l’adolescenza per vari motivi mi ero allontanata da Dio, dalla Chiesa; era quaresima e Mons. Francesco Pizzo, mio docente di religione al Liceo Classico “G. Meli” di Palermo, organizzò un ritiro a Poggio San Francesco; andai e ritrovai padre Puglisi, che, accogliendomi con il suo saluto affettuoso, mi chiamò ‘la pecorella smarrita’. Fu una parola detta non con rimprovero, ma con grande affetto, che mi fece ricominciare a pensare, riflettere e desiderare di nuovo di rimettermi in cammino e ritornare al Signore, servendolo nella “mia” Chiesa di Palermo.
Avevo diciotto anni, quando un giorno stavo attraversando un periodo molto difficile; la mia vita sembrava crollare a causa di un incidente in un intervento chirurgico, che mi provocò la perdita della vista ad un occhio. Mi chiedevo che cosa dovessi fare della mia vita e del mio futuro.
Padre Puglisi, che in modo discreto, ma attento stava lì, al termine di una celebrazione eucaristica, quasi in punta di piedi, come era solito fare, mi chiese “come stai?”, e da lì partì tutto. Iniziai un cammino di accompagnamento personale, che mi fece crescere in tutti i sensi e mi portò poco per volta a scoprire la vocazione; questa parola che prima mi faceva tanta paura e che poi scoprii come dono, quel dono che ero io, con tutti i miei talenti e le mie ricchezze. Dono di quel Dio Amore che padre Puglisi mi aiutò a conoscere nel volto di Gesù e che mi avrebbe portato in seguito al grande desiderio di donare la mia vita al Signore.
Fare memoria dei benefici ricevuti da padre Puglisi non è facile, perché sono tanti, ma è bello “ricordare” alcuni atteggiamenti che adesso continuano ad essere una parte di vita che è entrata in me e che, come religiosa del Cenacolo, diventa continuamente germe di risurrezione e motivo di gratitudine al Signore.
Dal 1981 sino al 1988, (anno in cui decisi di lasciare Palermo per entrare nella Congregazione delle Suore di Nostra Signora del Cenacolo) ho potuto ascoltare e accogliere lo stile di 3P (così lo chiamavamo), che traspariva:
- nel suo modo di accompagnarmi personalmente con fiducia, pazienza, discrezione;
- nel suo modo di stare con noi giovani dei gruppi vocazionali e guidarci;
- e infine, ma – direi – con atteggiamento permanente, nella sua coerenza tra la Buona Notizia che ci annunciava e la vita povera e semplice che conduceva a servizio di tutti noi.
Padre Puglisi è stato per me un pastore buono e un padre spirituale pronto sempre a donare la vita attraverso piccoli gesti, ma che diventavano grandi, perché fatti con amore.
Aveva un’attenzione direi sacra ad ogni persona di qualunque genere, e così la ebbe anche per me.
Ricordo un episodio durante il primo campo scuola a Mezzoiuso nel 1982: ogni anno era previsto nel campo un giorno in cui si faceva una scalata; si partiva la notte per celebrare poi, all’alba, le Lodi e l’Eucaristia, in un luogo in cui la natura ci parlava di Dio; era una esperienza che aiutava anche a creare un clima di comunione tra noi; io decisi di non andare. 3P non mi disse niente, ma il giorno dopo con grande delicatezza mi aiutò a comprendere il motivo per cui non ero andata: avevo paura di inciampare nel buio, dato che ci vedevo poco. Egli mi promise che l’anno successivo si sarebbe messo davanti a me con la lampada e mi avrebbe condotto.
Era la disponibilità di un piccolo gesto che, insieme a tanti altri, diventavano, giorno per giorno, segno di un Dio che mi amava a dismisura e che quotidianamente era pronto a dare la vita per me. Gesti che indicavano il suo paterno amore verso ognuno di noi; per lui ciascuno era prezioso, era importante, un dono che, come tale, poteva donare a sua volta qualcosa; ci aiutava a prendere coscienza dei doni e delle capacità che portavamo in noi e ci stimolava poi a metterli a servizio degli altri con gioia. Ai campi si lavorava molto; le giornate erano intense, ma tutto era preparato, nel sano equilibrio tra preghiera, riflessione e servizio.
Ciascuno era chiamato a “trafficare i propri talenti”. Ricordo che, come iniziai gli studi di Scienze religiose alla Facoltà Teologica di Palermo, via via che andavo avanti, mi chiese di donare quello che ricevevo attraverso lo studio, facendo alcune relazioni al gruppo; l’atteggiamento, però, non è stato mai quello dell’imposizione, ma del valorizzarti e farti capire che quel servizio potevi farlo ed era bello farlo e così si serviva con gioia il Signore.
Il suo stile mi piace paragonarlo, come già è stato fatto da altri, allo stile di Gesù con i discepoli di Emmaus: “‘stare con”.
È stato “con me” nell’accompagnamento personale, non sostituendosi mai a me, ma lasciando che venisse fuori dalla mia vita tutto quello che c’era di bello, i miei desideri più profondi, ascoltandomi senza giudicare, ma con piena fiducia e lasciando che poco per volta emergesse dai miei veri desideri la mia scelta di vita per il Signore. Ricordo che, quando con un po’ di timore gli manifestai il mio desiderio di consacrarmi al Signore, mi disse con delicatezza e con il suo sorriso: “E che credevi che io ti dicessi di farti suora?”; ed è proprio vero, da buona guida si limitava ad ascoltarmi e a condurmi con grande libertà là dove io insieme al Signore avrei deciso di andare.
È stato “con noi” nel gruppo con la sua presenza attenta a farci crescere come persone che, nella loro unità sono chiamate a confrontarsi con Gesù Cristo, l’amico, l’amore che si è fatto carne e che si è fatto servo, stimolandoci così ad una risposta nel servizio concreto. Ricordo le esperienze fatte a Genzano di Roma all’ospedale psichiatrico; lui entrava con noi nei reparti e serviva con noi con grande umiltà.
È stato “con la mia famiglia” condividendo i momenti di gioia e di dolore.
La gioia più grande è stata quella di avere la sua presenza il giorno della mia professione temporanea a Napoli, il 6 gennaio 1991; quel giorno, sebbene già parroco a Brancaccio, presiedette la celebrazione.
Mi piace ricordare qualcosa della sua omelia, che per me ancora oggi diventa un richiamo alla fedeltà, alla perseveranza e alla certezza che il Signore porterà a compimento l’opera che ha iniziato in me.
“Nella celebrazione della Solennità dell’Epifania del Signore, solennità di questo dono di Dio agli uomini – disse – Dio dà ad ogni uomo la capacità di aprire il suo cuore come il cuore di Dio a tutta l’umanità, dona ad ogni uomo la capacità di avere un cuore grande quanto il mondo”.
Mi invitò ad un dono totale, radicale, senza ritorni indietro “chi ha posto mano all’aratro non si volga a guardare indietro” – mi ricordò – “chi pone mano all’aratro deve guardare avanti, sempre, come ha fatto Cristo che si è donato fin dall’inizio e non è tornato indietro fino all’ultimo momento: Padre nelle tue mani affido la mia vita”.
Questa Parola non è stata soltanto predicata, ma è stata vissuta in pieno; padre Puglisi ha fatto della sua vita un dono d’amore e ci ha comunicato, con la vita, che noi, io, sono, esisto perché Dio mi ama.
Non si è mai voltato indietro, ma è andato sino in fondo, e questo per me diventa ancora una volta segno di speranza.
Il giorno in cui venne ucciso fu per me, come credo per tutti quelli che lo hanno conosciuto, un dolore grandissimo e certo non è mancata la rabbia, ma subito e direi, quasi per miracolo, una certezza che non mi ha mai abbandonato: beati i miti perché erediteranno la terra. Questo avvenimento riletto dopo mesi, alla luce della Parola del Signore, mi riportò all’esperienza di Pietro, alla sua grande fatica nel pensare che Gesù doveva andare a morire. Egli diceva: “Tu non puoi, Tu non devi morire” e per un momento mi dissi: “caspita, aveva proprio ragione! In fondo voleva un bene dell’anima a Gesù”. Ma nello stesso tempo riecheggiavano in me le parole stesse di Gesù, dure se vogliamo, ma vere: “Va’ via Satana, tu ragioni come un uomo…, non bisognava che il Cristo soffrisse tali sofferenze per entrare nella sua gloria?”.
Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se invece muore produce molto frutto. Padre Puglisi ci aveva educati alla logica del chicco di frumento in tutto ciò che diceva o faceva.
La sua morte non è stata vana e non lo è. Ogni vita che si dona stimola al dono, di fronte al dono che Dio fa di se stesso; il nostro cuore non può restare insensibile, anche noi siamo chiamati a donarci al Signore, ciascuno secondo quella vocazione che ha ricevuto. Però il dono dovrà essere totale, radicale, senza ritorni indietro, sempre.
Ero certa che la prima grazia che bisognava chiedere e che lui avrebbe chiesto era la conversione di chi lo ha ucciso. Per me già questo continua ad essere segno che quel Padre misericordioso e pieno di tenerezza, di cui con dolcezza ci parlava 3P, avrebbe sciolto i cuori più duri, e spero che gli uomini continuino ad accogliere l’invito di Dio, perché un giorno ci possiamo ritrovare tutti alla grande Festa, al Banchetto che ci attende, a godere tutti della comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
Oggi dopo la sua beatificazione, avvenuta Palermo il 25 maggio 2013, padre Puglisi continua ad essere presente nella chiesa e nella mia vita.
Insieme alla comunione dei santi continua intercedere nella mia vita e continuo a sentire con gratitudine che quanto di amore si riceve nella vita non va perduto, ma se condiviso si moltiplica e diventa dono per tutti.
Da dieci anni quel buio che mi faceva tanta paura nella mia giovinezza è diventato realtà nella mia vita, perché ho perduto la vista e il buio è diventato il mio compagno di viaggio e anche a volte il mio limite. Anche in questa dura esperienza continuano a risuonare nel mio cuore le parole di 3P: andare avanti come Gesù senza voltarsi indietro, non senza fatica, ma chiedendo ogni giorno la forza e la luce necessari per continuare a seguire il Signore.
Nei campi scuola spesso cantavamo una canzone che adesso sento sempre più mia:
Conducimi Tu luce gentile
Conducimi nel buio che mi stringe
La notte è buia, la casa lontana
Conducimi avanti, Luce gentile.
Tu guida i miei passi luce gentile
Non chiedo di veder assai lontano
Mi basta un passo solo il primo passo
Conducimi avanti luce gentile.
Io volli certezze dimentica quei giorni
Perché l’amore tuo non mi abbandoni
finchè la notte passi tu mi guiderai
sicuramente a te Luce gentile
Grazie 3P perché sei sempre vivo nella mia vita!