La chiesa nel tempo della pandemia
Ormai da quasi 14 mesi viviamo nella tempesta della pandemia. Tutte le nostre vite, tutte le istituzioni si sono dovute adattare e reinventare, nella ristrettezza delle possibilità.
Il mondo ecclesiale si è da subito impegnato di più nei due grandi movimenti che lo caratterizzano: l’annuncio del Vangelo e la carità che ne è nutrita e lo annuncia con la vita e con le parole.
La carità cioè l’impegno di parrocchie, associazioni e movimenti per far fronte concretamente all’emergenza presso le persone più fragili, gl’invisibili sempre più invisibili e tutti coloro che sono stati investiti dalle drammatiche conseguenze economiche. Nei momenti difficili e disperati gli uomini e le donne di fede si rimboccano le maniche, si guardano intorno e provano a fare qualcosa, piccoli gesti per “farsi prossimo”.
L’annuncio della Parola, la preghiera, il sostegno del cammino di fede e la sua condivisione in comunità attraverso dirette televisive e su facebook, videochiamate e videoconferenze. Una crisi di tale portata, con una improvvisa e drammatica interruzione delle relazioni, insieme all’isolamento forzato hanno praticamente messo alla prova tutti, lasciandoci spaesati e soli di fronte alle nostre paure e alle grandi domande della vita.
Gli atti e le parole del Papa
In questa immane tragedia globale, il Papa si è mostrato come tutti solo e impotente.
In una breve rilettura, pubblicata su Avvenire il 23 febbraio 2021, Mimmo Muolo scriveva che da Papa Francesco abbiamo ricevuto «preghiere, discorsi, gesti, atti concreti di carità. Dal ciclo di catechesi sulla pandemia all’enciclica “Fratelli tutti”, la crisi viene riletta alla luce del Vangelo». Quando il 9 marzo 2020 in Italia iniziava il lockdown, le chiese si chiudevano ai fedeli e si scatenava una forte reazione dei vescovi e dei fedeli che chiedevano a gran voce di non chiudere le chiese, il Papa invece, in modo chiaro e inequivocabile, invitava alla prudenza e al rispetto delle regole che la politica indicava per rallentare i contagi.
Seguivano poi i grandi gesti di preghiera:
- la trasmissione in diretta televisiva della messa mattutina da S. Marta,
- il pellegrinaggio del Papa al Crocifisso di S. Marcello al Corso in una Roma deserta,
- la grande supplica in piazza S. Pietro il 27 marzo. Certamente il Papa da solo sotto la pioggia, in una piazza che eravamo soliti vedere sempre gremita di persone, è diventata un’immagine simbolo. E così riscoprivamo di essere tutti nella stessa barca nel pieno della tempesta.
Il 4 ottobre Papa Francesco donava all’umanità parole di fraternità con la sua terza enciclica “Fratelli tutti”. In continuità con la “Laudato sii” ci inchioda alle nostre responsabilità: la pandemia non è una fatalità, né tanto meno un castigo divino, ma un disastro mondiale conseguente al nostro modo di essere e di porci rispetto al creato e alla vita: tutto è connesso e non padroni assoluti ma custodi.
L’intera umanità alla prova A fine marzo 2020, la Pontifica Accademia per la Vita, pubblicava un documento “Pandemia e Fraternità Universale” ben sintetizzato nella rivista Aggiornamenti Sociali di maggio 2020:
“Mentre l’intera umanità è alla prova … ci troviamo in una situazione di difficoltà inedita, drammatica e di portata globale: la sua potenza di destabilizzazione del nostro progetto di vita cresce giorno per giorno … Stiamo dolorosamente vivendo un paradosso che non avremmo mai immaginato: per sopravvivere alla malattia dobbiamo isolarci gli uni dagli altri. E ci rendiamo conto di quanto il vivere con gli altri sia essenziale per la nostra vita”.
Nel solco di quanto ripetutamente ribadito da Papa Francesco, la pandemia ci ricorda che siamo tutti nella stessa barca, e quindi “solidali nella vulnerabilità e nel limite”. Il cammino da percorrere è “dall’interconnessione di fatto alla solidarietà voluta”.
Il bisogno di Dio
Infine, un’analisi puntuale del sociologo Franco Garelli nel saggio “Gente di poca fede” fotografa “un paese incerto su Dio ma ricco di sentimenti religiosi”. Nel tempo della pandemia, dalla Messa mattutina del Papa ai Rosari promossi dalla Cei, in tv e sui social il sacro “sfonda” (come scrive su Avvenire Riccardo Maccioni, 19 aprile 2020).
Anche il mondo laico si dimostra attento, perché vede un Papa non estraneo alle vicende umane, che comunica il messaggio religioso con stile semplice e di prossimità, di vicinanza, di partecipazione. Colpisce questa presenza straordinaria nella sua ordinarietà. Evidentemente nei momenti difficili c’è comunque una ricerca di senso.
Garelli si domanda se questa esperienza possa, se non ridisegnare, almeno modificare le comunità dei credenti. Sembra poterci essere una ricerca di spiritualità o di punti di riferimento oltre i confini ordinari: quindi la gente può scegliere di vedere e connettersi con le realtà ritenute più significative che meglio interpretano il presente e facilitano il discernimento.
In tutto ciò, il bisogno di rapporti “normali” non diminuisce, anzi! Il virtuale è certamente importante e offre molteplici possibilità, ma emerge sempre più forte e viva l’esigenza di rapporti umani anche e soprattutto per la vita spirituale. “C’è sempre la nostalgia di una comunità, di un rito reale, non formale, cui uno partecipa e che gli scandisce la vita.”
La Chiesa si interroga su che cosa rimarrà alla fine di questo periodo. Si parla di ritorno all’essenziale … Dall’indagine di Garelli emerge che in questo periodo prevalgono più i segni di fede che di indifferenza religiosa, più la vicinanza che la distanza da Dio.
In tutte le crisi e le tragedie dell’umanità rimangono vere le parole di questa bella preghiera di Bonhoeffer con la quale ci auguriamo che questa “tempesta” sia un’occasione per tutta l’umanità di volgere lo sguardo a Dio e rendere sempre più disponibili i cuori al dono della speranza.
Articolo scritto da sr Irene, comunità di Montmartre (Francia)
Foto: Pexels & © VATICAN MEDIA HANDHOUT / EPA/MAXPPP
Cristiani e pagani
Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione,
piangono per aiuto, chiedono felicità e pane,
salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte.
Così fanno tutti, tutti, cristiani e pagani.
Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione,
lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pane,
lo vedono consunto da peccati, debolezza e morte.
I cristiani stanno vicino a Dio nella sua sofferenza.
Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione,
sazia il corpo e l’anima del suo pane,
muore in croce per cristiani e pagani
e a questi e a quelli perdona.
Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Lettere e scritti dal carcere, Edizioni Paoline